Educare deriva da educere, cioè guidare senza soffocare: affetto e rimprovero, insomma, hanno uguale importanza
Sosteneva Giovanni Bollea, padre della moderna neuropsichiatria infantile, in “Le madri non sbagliano mai”
Il dilemma fra permissivismo ed autoritarismo accomuna moltissimi genitori, ed è un tema su cui ci è opportuno confrontarsi in un periodo lungo e ricco di cambiamenti che va da quando ci si trova con un figlio intorno ai 2 anni fino a quando raggiunge la prima età adulta, se non oltre.. (!). L’argomento ha fatto fiorire un grande numero di scuole di pensiero, manuali, trasmissioni televisive e che interessa sia le discipline psicologiche, per quanto riguarda le esigenze specifiche di ciascuna fase di sviluppo e quali competenze emotivo-relazionali sono in ballo nelle sue diverse fasi e del benessere individuale di adulti e bambini, nonchè pedagogiche, per trovare gli strumenti che consentano e facilitino i diversi apprendimenti, migliorando l’adattamento del bambino e quindi la qualità della vita sua e della famiglia.
Già i neonati mostrano un grande desiderio di conoscere le leggi del mondo, sia in senso fisico-motorio, che anche relazionale e sociale, osservando tutto quello che gli accade intorno per capirne le regole.
Con la crescita questo processo si fa sempre più complesso e l’insieme di conoscenze inizialmente “sparse” e separate fra loro richiede un’integrazione per arrivare a capire “come si fa a..” ad esempio: ottenere ciò che si desidera, evitare ciò che non vuole, come entrare in contatto e a interrompere uno scambio con gli altri senza intoppi, a non farsi sopraffare, a fare la pace. Inizialmente queste regole sono vissute dai bambini come ovvie, universali, solo verso l’adolescenza i bambini diventati adolescenti inizieranno a metterle in discussione e a relativizzarle.
L’apprendimento di nuove regole avviene ogni volta che al bambino succede qualcosa di nuovo.
Cosa sono i “capricci”?
Con i primi passi e le prime parole, il bambino inizia a essere consapevole che il suo sé è diverso da quello dei genitori, e cerca di manifestarlo in ogni occasione, con una parolina magica: “NO”. Ma al tempo stesso si sente ancora piccolo e indifeso: è una fase di sviluppo delicata, in cui il bambino deve fare proprie molte nuove competenze, è quindi importante per lui sentirsi compreso.
È comune che in questo periodo i genitori sperimentino una fase in cui “capricci”, urla o più in generale i comportamenti oppositivi di un bambino diventano più frequenti.
Gestire questi comportamenti mette alla dura prova noi genitori: è facile perdere la pazienza e rispondere alzando la voce, oppure farsi prendere dall’ansia che il bambino/ i nostri metodi educativi/ noi abbiamo qualcosa che non va.
L’ottica di partenza è quella di considerarli esempio di un fenomeno relazionale per cui è opportuno trovare cause specifiche e diverse strategie di intervento.
I comportamenti oppositivi in questa fase spesso assumono la funzione di esercitare “il controllo della propria vita”, la richiesta rudimentale e anche l’allenamento per imparare a capire come poter esercitare una scelta. Da genitore, capito che questo può essere il possibile motivo scatenante la crisi, dovrebbe essere più semplice potersi mettere nei panni del piccolo.
Iniziamo quindi con l’idea che l’obiettivo non è quello di eliminare capricci/ comportamenti oppositivi in cui il bambino non rispetta le regole, ma individuare un atteggiamento da tenere per stare vicino a quel determinato bambino in quel preciso momento evolutivo.
Uso infatti la parola “capricci” perché di uso comune, ma la trovo fuorviante e poco “democratica” nei confronti dei bambini.
Fuorviante perché viene utilizzato per una serie di situazioni diverse senza differenziarle né spiegarle: questo non le rende comprensibili ai genitori che invece, proprio perché messi in difficoltà da questi atteggiamenti avrebbero bisogno di capire, e poco “democratica” in quanto dà un’accezione negativa a comportamenti, anche oppositivi,o fastidiosi, che esprimono un bisogni legittimi di affermazione della propria volontà, e in conseguenza, l’esigenza di costruire attraverso queste prove ed errori, la propria identità.
È infatti solo attraverso la comprensione empatica di bisogni ed emozioni del bambino che poniamo le basi per superare questi comportamenti, aiutiamo il piccolo a riconoscere, nominare e manifestare le sue esigenze ed emozioni, passaggi fondamentali per gestirle regolandole adeguatamente.
Occorre quindi, con “nervo saldo” e sufficiente lucidità, analizzare i comportamenti difficili del bambino e capire: l’emozione che sta provando (facilmente rabbia), che cosa gliel’ha scatenata e quali comportamenti sbagliati mette in atto che vogliamo modificare o far cessare, e quali comportamenti invece più adattivi o funzionali è opportuno suggerire.
È importante quindi, nel relazionarsi al bambino separare la dimensione dei suoi bisogni/ emozioni che, come quelli di ogni essere umano (!), sono legittimi e come tale devono coerentemente essere trattati, dalla dimensione comportamentale: i comportamenti che il bambino mette in atto per manifestare quel bisogno/ emozione possono essere giusti o sbagliati e se sbagliati, occorre proporre con autorevolezza una modifica.
Assumere questa posizione relazionale come genitore è più difficile di quanto sembra a parole: occorre buona sicurezza in se stessi e nelle proprie capacità, non essere travolti da preoccupazioni o insicurezze sulle proprie capacità genitoriali, né travolti emotivamente dalle reazioni del proprio bambino. È importante quindi capire come calmarsi, quindi sentirsi capaci di gestire le emozioni difficili che certe situazioni ci possono suscitare, e sentire di avere un sufficiente grado di autoefficacia come genitore.
In questo modo il valore aggiunto però sarà maggiore per entrambi: porsi in questa ottica insegna tanto anche a noi adulti, quindi perché non sfruttare i momenti difficili per imparare qualcosa piuttosto che per sterili arrabbiature o lamentele?
Facciamo un esempio: il bambino ha una crisi di rabbia al supermercato perché vuole una merendina e la mamma/ il malcapitato genitore dice che non potrà averla. Come si può fare ad arginare la rabbia crescente e ad uscire indenni e calmi entrambi dal supermercato?
Innanzitutto occorre lavorare di preparazione: al bambino piace andare al supermercato? Se la risposta è no, cosa possiamo fare per renderglielo più gradito? Può funzionare il coinvolgerlo in alcune attività adatte alle sue capacità: spingere un carrellino, o fargli depositare gli alimenti sulla cassa, oppure se desidera qualcosa si può concordare in anticipo che potrà avere solo quella cosa: in questo modo già si pongono le basi per minimizzare il rischio di ribellioni.
Se poi il bambino si arrabbia perché desidera qualcos’altro si può rispondere con comprensione e fermezza, ad esempio: “capisco che sei arrabbiato ma questo non è il modo per ottenere ciò che vuoi perché….”. Ed occorre mantenere coerenza senza accontentare il bambino per calmarlo se così si è deciso.
Un altro modo che comunemente usano i bambini per sperimentare le risposte degli adulti a determinati comportamenti o situazioni sono gli atteggiamenti provocatori, o comportamenti-domanda: gesti o domande che hanno l’obiettivo di provocare risposte chiarificatrici, sia fisiche, sia verbali, sia comportamentali.
Per esempio, mentre fil bambino fa il gesto di battere un piatto sul tavolo o se inizia ad urlare e comune che lanci uno sguardo agli adulti presenti, per vedere cosa pensano e cosa fanno, cioè per imparare cosa è raccomandabile, cosa è permesso e cosa è proibito.
Questo significa che si aspetta da noi la definizione di una regola, un confine che gli consenta di capire cosa si può fare e cosa no. Perdere la pazienza è umano e a volte inevitabile, ma come genitori ci fa perdere l’occasione di insegnare qualcosa di utile.
È come se questi comportamenti test corrispondessero alla domanda: “che conseguenze devo aspettarmi quando..?”.
Alcuni suggerimenti
Alcuni suggerimenti generali per orientarsi in questa giungla:
- I bambini hanno bisogno di poche regole, chiare, ben definite concretamente e adeguate alla loro età: “fai il bravo” non gli fa capire che cosa intendiamo
- Se il bambino risponde comunque con rabbia o tende a voler sempre fare ciò che gli va? È normale che l’interesse principale dei bambini sia il gioco e che vivano con rabbia e dolore i “no”, sono in una fase in cui il loro pensiero è “egocentrico”. Sta a noi quindi metterci al suo piano e, invece che ingaggiare un “testa a testa”, proporgli qualcosa per tentare di coinvolgerlo in altro
- Manteniamo la nostra posizione anche se è difficile e cerchiamo di far sentire il bambino compreso: “mi dispiace ma questa cosa proprio non si può fare”.
Ed ecco alcuni suggerimenti validi anche per i figli che hanno dai 2 ai 18 anni:
- È importante che noi adulti ci comportiamo da modelli: non chiediamo a nostro figlio cose che noi non facciamo. I bambini/ ragazzi, soprattutto in età prescolare ma anche successivamente, apprendono per imitazione, e gli semplifichiamo il compito comportandoci in modo coerente con ciò che chiediamo loro
- Se nostro figlio urla proviamo noi ad abbassare la voce o proviamo a sdrammatizzare con qualche battuta per vedere che effetto suscitiamo; tutti noi impariamo più volentieri da esperienze divertenti
- Cerchiamo di non lasciarci spaventare dalle reazioni emotive intense dei nostri figli: se loro ci percepiscono tranquilli saranno facilitati nell’apprendere come contenere e gestire i loro stati emotivi
- Parliamo anche di ciò che proviamo: dire che quel comportamento ( e non lui/ lei come persona) ci fa arrabbiare li aiuta a capire che ciò che disapproviamo non sono loro, ma alcuni loro comportamenti
- Non usiamo paragoni né ricatti per farci ascoltare
- Incrementiamo la capacità nei nostri figli di mettersi “nei panni degli altri”, spiegandogli noi per primi le motivazioni dei comportamenti di un amico che ad esempio non vuole giocare con lui
- Rinforziamo comportamenti positivi con le nostre parole e diamo ai nostri figli conferme del nostro affetto e stima; Se non riescono in un’attività è sufficiente spiegargli che facendo altri tentativi miglioreranno. Tollerare errori e sconfitte, e la frustrazione che ne deriva, è un insegnamento che li aiuterà a non sentirsi schiacciati ed impotenti quando capiteranno delusioni o sconfitte
- Cerchiamo insieme soluzioni ai problemi, lasciando spazio anche alle loro proposte
- Cerchiamo di mantenere l’abitudine a passare del tempo con loro, per giocare, leggere o fare qualcosa insieme.
Si possono leggere centinaia di consigli, manuali, ci si può confrontare con altri genitori… Capiteranno sempre situazioni in qualità di genitore che ci metteranno alla prova o sulle quale saremo impreparati, che ci costeranno fatica o spavento, la “lezione” importante, se così si può chiamare, per noi adulti, è quella di imparare con pratica e pazienza, a trasformare i comportamenti oppositivi, critici dei nostri figli in momenti di intimità in cui imparare entrambi qualcosa in più.