Non è mai troppo presto per auto-determinarsi

Un bambinno da solo sulla spiaggia guarda l'orizzonte

Fino a che punto è sensato guidare le scelte dei bambini in età prescolare piuttosto che lasciarli liberi di sperimentare?
“Perchè non fai come ti ho detto io?”

È una tipica reazione di un adulto quando un bambino che gli sta accanto matura una nuova autonomia o semplicemente fa quello che gli va.

Non conoscendo teorie pedagogiche di riferimento, la terminologia “gioco libero” mi ha sempre fatto sorridere, perché ingenuamente davo per scontato che il gioco lo fosse (Il principio del “gioco libero” è evitare di stimolare l’attività di gioco in una direzione e di proporre o introdurre oggetti al gioco spontaneo, sulle dinamiche relazionali e comunicative sottostanti Gregory Bateson ci ha anche scritto un “Questo è un gioco, perché non si può mai dire a qualcuno “gioca!”, ma questa è un’altra storia e diventerà un altro post).

Addentrandomi personalmente, grazie alle educatrici che ho avuto la fortuna di incontrare, e professionalmente grazie alle persone che si sono rivolte a me, ho scoperto nei fatti come il tema dell’autodeterminazione sia centrale nel mio lavoro, e non solo nel sostegno ai genitori, ma anche in molti dei percorsi individuali di consulenza e di psicoterapia.

In particolare però quando si diventa genitori è comune trovarsi a riflettere su come i comportamenti di noi adulti possono aiutare i piccoli nel loro auto-determinarsi, cioè non solo come possiamo renderli autonomi (responsabilmente), ma anche consentire loro di imparare a scegliere per se stessi.

In concreto la posta in gioco dietro all’acquisizione di questa competenza riguarda: in che modo e fino a che punto un bambino può esercitare la propria libertà decisionale e quindi di quale raggio d’azione è in grado di assumersi la responsabilità?
Quali atteggiamenti genitoriali possono sostenere e incentivare l’autonomia e quali azioni invece la reprimono?

Prendo in prestito queste belle parole per definire l’autodeterminazione:

“L’autodeterminazione è coniugare i verbi alla prima persona singolare.

E quando sono i nostri figli a voler coniugare i verbi delle loro azioni alla prima persona singolare? Non accade solo quando sono grandi e prendono davvero la loro strada, ma accade per ogni “no” che pronunciano, anche a due anni. No è forse la parole che più esprime l’autodeterminazione, il taglio del cordone tra noi e loro.”

(da genitoricrescono )

Da definizione l’autodeterminazione è “L’atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge: espressione della ‘libertà’ positiva dell’uomo, e quindi della responsabilità e imputabilità di ogni suo volere e azione.”

È un concetto che fonda le sue origini sociali ufficialmente con la dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, nata dopo la seconda guerra mondiale, e con il femminismo, un’acquisizione recente del nostro bagaglio culturale.

Tornando al concreto: avete in mente come reagiamo quando i nostri figli ci dicono di “no”?

Ricevere un “no” di solito è frustrante, fa arrabbiare, rassegnare, entrare in sfida.. difficilmente evoca pensieri e sentimenti positivi. In alcuni casi può anche spaventare, implicando conseguenze potenzialmente pericolose, ad esempio: siamo al parco e mio figlio non accetta di scendere da quel ramo così alto e temo possa farsi male.

Quindi.. cosa ci richiama alla mente? Che scenari ci passano per la testa?

“Quel terremoto mi sta sfidando”, oppure: “Ecco, lo sto proprio viziando!”, “Non ce la faccio più”…?

Affrontando la questione in altri termini, he cosa tira in ballo di noi questa situazione?

Si tratta del nostro bisogno di domare i nostri bambini mantenendo il “potere”? Oppure di paura che il nostro tesoro si possa trasformare irrimediabilmente in un tiranno?

Sono reazioni comprensibili e comuni. Che da genitori desiderosi di crescere figli auto-determinantesi ci danno utili spunti di riflessione, oltre che di dannazione.

Se ci lasciamo andare alla frustrazione o alla paura è facile lasciare il campo a comportamenti educativi fondati su sentimenti negativi e non costruttivi, irrigiditi sull’obbedienza a regole predefinite che limitino i possibili rischi (e non che nell’obbedienza di un bambino a 2 anni io ci veda qualcosa di male, anzi!).

Mi sembra però più utile provare a distinguere le pre-condizioni necessarie a costruire un’obbedienza “collaborativa”/ “costruttiva” rispetto alle pre-condizioni che creano una relazione in cui l’obbedienza viene spesa come “scorciatoia”, utile solo a rassicurare il genitore, cosa che non aiuta il bambino a sviluppare nuove autonomie.

È comune a chi ha a che fare con bambini in età prescolare, vederli manifestare i propri desideri ed iniziative in fatto di mangiare, giocare, dormire, o i propri interessi sociali con una forte ostinazione.

Esistono però limiti alle azioni dei bambini dettate da:

  1. rischiosità di un loro comportamento. No, non ci si può arrampicare dalla libreria alla finestra, magari aperta e al quarto piano. Tuttavia anche nelle questioni apparentemente più semplici di ordine pratico legate alla percezione del pericolo le sensibilità possono essere parecchio diverse, può non essere immediato il da farsi.Le forbici ed i coltelli di casa ad esempio. Che effetto vi fanno? Consentite ai vostri figli di utilizzarle? Se sì come gli avete consentito di iniziare? Come li avete guidati? Proviamo a chiederci se quella cosa è veramente così pericolosa? O qual’è il rischio peggiore che può accadere? In che modo possiamo consentire ai nostri figli la massima possibilità di sperimentare sentendoci sufficientemente sicuri? (qualche graffio/ livido/ morso possiamo metterli in conto come inevitabili conseguenze di un gioco sufficientemente “libero”?)
  2. responsabilità verso gli altri, ovvero regole condivise da rispettare. Il confine fra i propri interessi e il rispetto di chi ci circonda non è sempre stabile e trovare il giusto equilibrio è un percorso che non si può insegnare teoricamente, ma va sperimentato in pratica, per prove ed errori. Occorre allenarsi decidere. Imparare a decidere. Questo ci riporta alla questione sull’autodeterminazione. Nei primi anni di vita, finchè cioè il bambino pensa in modo “egoistico” come diceva Piaget, sta a noi genitori trasmettere ai nostri figli le regole delle situazioni sociali in cui ci si trova e chiedergli di adeguarsi.Ad es.: non si aprono le confezioni del supermercato, non si urla al ristorante, e chi più ne ha più ne metta. Ok.

Anche vero è che di questi tempi le pedagogie di stampo “simil Montessoriano” in cui i bambini devono poter sperimentare sembrano andare per la maggiore. Senza l’attenta percezione della fase di sviluppo e delle esigenze del bambino però il rischio è di lasciarli a loro stessi, alla deriva, con la possibilità di poter decidere tutto. Un messaggio che si scontrerà con la realtà, e non capire il confine del rispetto degli altri. L’estrema conseguenza è educare all’onnipotenza, con tutte le conseguenze negative del caso: le frustrazioni derivanti dal fatto che il mondo inevitabilmente farà scontrare i piccoli onnipotenti con esperienze di altro genere. Che loro non saranno preparati a gestire. In altre parole: preferiamo che si prendano qualche no frustrante da noi genitori in grado di motivarglieli e gestirne le conseguenze, o che incappino in altri?

Esistono inoltre anche scelte che i bambini non sono ancora predisposti a prendere in autonomia, perché troppo complesse cognitivamente o perché implicano responsabilità che non è giusto loro si assumano.

  • Una scelta complessa cognitivamente per un bambino intorno ai 2 anni è ad esempio una scelta con più di 2/3 alternative possibili.
  • Una responsabilità che non è giusto si assuma un bambino di 2 anni è quella di decidere a che ora tutta la famiglia si deve sedere a tavola per cenare o se scendere dall’altalena per far salire un altro bambino (ritorniamo a Piaget ed alla sua fase di pensiero egocentrico: se il bambino vuole scendere è perchè non ne ha più voglia lui, non è adeguato alla fase del suo pensiero chiedergli di lasciare il posto aspettandosi che lui sia “altruista”, non può pensarla così, sta a noi “avere le redini in mano” ed esercitarle nel modo che riteniamo per lui più comprensibile, non possiamo incolparlo di non esser sufficientemente generoso).

In numerose situazioni quindi è opportuno stabilire limiti e regole, chiari ed adeguati alla fase di sviluppo che i nostri figli stanno affrontando.

Le opportunità che la quotidianità ci offre sono numerose e ci portano a riflettere da che parte far pendere l’ago della bilancia, anche se autonomia e il rispetto delle regole non sono opposti logici.

L’opposto dell’autonomia, è la dipendenza o la subordinazione. L’autonomia di un bambino che sta imparando ad auto-determinarsi va di pari passo col rispetto delle regole.

Quindi come ci comportiamo con le svariate manifestazioni dei bisogni dei bambini? Vengono rispettate o violate? Troppo spesso, per moltissime ragioni diversi i bambini sperimentano che i loro bisogni passano in secondo piano rispetti ai pericoli (a volte, diciamocelo, sovrastimati), alle nostre routines.

In questo modo corriamo il rischio però di non far sperimentare le loro azioni come efficaci, non gli insegniamo a “cadere”, andiamo verso l’effetto “campana di vetro”, e così non li alleniamo.

I bambini devono poter sperimentare che vale la pena impegnarsi per qualcosa di importante per se stessi, ed anche poter allenarsi per prove ed errori.

Sin dalla nascita, ogni bambino si avvale dei propri mezzi per esprimere i suoi sentimenti e segnalare le sue esigenze, ce le mostra. I genitori gradualmente si allenano ad ascoltare e  comprendere queste esigenze. Un buon proposito sarebbe quello di cercare di metterle sul piatto della bilancia insieme alle proprie priorità emotive, avendo ben presente che fra le due posizioni c’è una distinzione.

Questo tipo di riflessione è il più grosso strumento che abbiamo per  decidere, di volta in volta, e nelle numerosissime situazioni quotidiane, il da farsi come genitori.

L’autonomia quindi  “funziona” e può rivelarsi una conquista durevole nel tempo solo se accompagnata dalla responsabilità dei propri comportamenti. Responsabilità che si apprende per prove ed errori sperimentando il rispetto (ed anche il non rispetto) delle regole. Queste sperimentazioni saranno tanto più semplici quanto noi genitori saremo in grado di dare obiettivi chiari (ed in linea col loro sviluppo), in un clima affettuoso e collaborativo in cui mettere le radici e crescere tutti come persone attive e responsabili di loro stesse.

Web-bibliografia

di Irene Sabelli

Mi chiamo Irene Sabelli e come psicologa psicoterapeuta costruisco insieme alle persone percorsi di cambiamento. Coltivo l’ambizione di provare ad avvicinare il mondo della psicologia e psicoterapia alla quotidianità, raccontandole attraverso articoli divulgativi.

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